Conoscere i test per Covid-19, un dovere del medico
Conoscere i test per Covid-19, un dovere del medico. La biologa: «Serve informazione univoca»
Marina Baldi è responsabile del corso ECM “Covid-19: un test per tutti. Test di screening e diagnostici e loro funzionamento” del provider Sanità in Formazione. Ogni esame ha proprie caratteristiche e può fornire anche risultati imprecisi, ma non significa che non funzionano.
Tracciare e testare sono ancora i due strumenti più importanti che abbiamo per combattere Covid-19. Il medico è il primo baluardo contro le insicurezze dei pazienti e deve essere il punto fermo sulle informazioni necessarie. Se non c’è chiarezza sul funzionamento dei test, manca la fiducia nel sottoporvisi e la catena del contact-tracing potrebbe subirne le conseguenze. Lo sostiene, senza mezzi termini, la biologa Marina Baldi, responsabile del corso ECM “Covid-19: un test per tutti. Test di screening e diagnostici e loro funzionamento” del provider Sanità in Formazione.
«Il medico deve poter dare delle spiegazioni rassicuranti, cosa che non sempre succede» spiega. «Il problema è stato anche che i medici non hanno avuto informazioni univoche da virologi e organi di governo. Una situazione che ha creato ansia e diffuso troppe teorie infondate». Dunque, ora più che mai, è dovere del professionista sanitario essere consapevole di quale test sia opportuno consigliare al paziente. Nonché prepararlo alla possibilità di un risultato errato. Risultato che non deve essere associato alla inefficacia del test, ma al loro stesso funzionamento.
«Come in tutti i test diagnostici e virologici – spiega Baldi – c’è una possibilità di falsi positivi o falsi negativi. Questa cosa spaventa, ma in realtà è una conseguenza normale nei test. Pensiamo ai tamponi molecolari che sono il test più approfondito, che però ha una minima sensibilità. Al di sotto circa di 50 copie virali nel campione che esaminiamo, il test non è in grado di identificare la presenza del virus. Avere meno di 50 copie non significa però essere negativi, significa che l’infezione è forse iniziata da poco e sta crescendo. Quindi avere un test negativo in presenza di sintomi o di un contatto con una persona positiva ci indica soltanto che dobbiamo ripetere il test a distanza di qualche giorno».
«Questo vale – prosegue – sia per i test antigenici che per quelli sierologici, che anzi hanno un tempo di latenza anche più lungo. Perché nei sierologici abbiamo un dosaggio di immunoglobuline M che si alzano abbastanza rapidamente ma non istantaneamente, e le immunoglobuline G si alzano con più ritardo perché fanno parte della memoria immunologica. Quindi può capitare che ci sia qualcuno che si positivizza dopo un po’, oppure che fatichi a negativizzarsi dopo aver avuto una positività».
Sono in arrivo anche delle novità, ricorda la biologa. Come i test salivari, particolarmente adatti per i più piccoli. Un modo per evitare loro il tampone, che è più fastidioso. «Io sono fiduciosa che tra vaccino e terapie opportune riusciremo in qualche modo a contenere la cosa», conclude Baldi, in una nota di positività.
Fonte:
Sanitainformazione