L’Etica del Consulente tecnico tra Scienza e Deontologia
Il Forum INPEF “Il valore della Giustizia in Italia: tra prove oggettive e prove opinabili. L’Etica e le Perizie: il sistema italiano” in programma a settembre prossimo, vedrà la partecipazione della Dr.ssa Marina Baldi, Genetista medico e forense, Consulente tecnico del Tribunale di Roma, Coordinatrice del Consiglio di indirizzo generale ENPAB (Ente Previdenza Biologi) e Docente INPEF. Un’indiscutibile esperienza nell’ambito delle Scienze forensi e della Criminologia, che interverrà con uno speciale approfondimento sul tema “L’Etica del Consulente tecnico tra Scienza e Deontologia”.
– Dr.ssa Baldi, il prossimo settembre sarà tra i protagonisti del Forum organizzato dall’INPEF, pensato per approfondire il valore e la rilevanza che l’Etica e la Scienza rivestono in ambito peritale. Dal momento che da molti anni la Sua esperienza concerne proprio l’aspetto forense della Sua professione, con consulenze tecniche in ambito civile e penale, quali sono a Suo avviso gli elementi necessari per svolgere questo tipo di attività in modo scientifico ed etico?
“La prima cosa importante per svolgere questa professione, che penso debba essere la caratteristica trasversale dei Consulenti tecnici, è l’onestà intellettuale. È vero che siamo di parte, a differenza invece della Consulenza tecnica d’Ufficio, dove l’essere terzo è una ‘conditio sine qua non’ per esercitare la funzione di supporto al Giudice, ma comunque è fondamentale avere una propria etica professionale; ciò deve valere anche per il CTP perché – che si abbia a che fare con la parte indagata, con la parte civile o col Pubblico Ministero – è sempre necessario che tutte le Attività siano volte a far emergere la verità. Certamente vanno valutati e valorizzati gli elementi a favore del proprio cliente, ma tali elementi devono essere reali, comprovati. In particolare, nell’ambito della Genetica Forense, siamo in un certo senso avvantaggiati, perché in questo settore i dati tecnici sono incontrovertibili, quindi difficilmente – se proprio non si è spregiudicati – possono emergere dubbi o criticità o discussioni sull’interpretazione di un profilo. Il vantaggio di questa disciplina è che sappiamo di avere delle basi tecniche e scientifiche che sono assolutamente incontrovertibili”.
– Dunque, quale contributo può apportare una Scienza come la Genetica forense nell’ambito di un’indagine e di un procedimento giudiziario e quale ruolo assume la prova genetico-forense nell’ottica di un suo corretto utilizzo?
“L’utilizzo che va fatto di questa prova deve essere perfettamente consono a quello che emerge dalle analisi: cercare di dimostrare l’impossibile non paga né da un punto di vista personale né da un punto di vista professionale. Io ad esempio posso attribuire l’identità di una persona con l’analisi di una traccia, ma non posso dire che la persona che ha lasciato il DNA sia un assassino (a meno che non ci troviamo in uno di quei casi in cui la compatibilità genetica di quella traccia sia l’elemento che unisce tutti gli altri pezzi del puzzle); io posso solo dire a chi appartiene un certo DNA, ma non come questo è stato depositato sulla scena del crimine. In questo senso quello che posso fornire è solo un aiuto alle indagini generali, ma bisogna dare sempre il giusto ruolo a un dato tecnico specifico quale quello che la Genetica può offrire”.
– Per far sì che Etica e Giustizia possono andare di pari passo, quanto è opportuno partire da una formazione adeguata delle competenze di tutti quei professionisti che operano in ambito giudiziale proprio per far emergere la verità? E che ruolo gioca la Deontologia in tutto questo?
“La Deontologia riveste un ruolo fondamentale, perché abbiamo a disposizione degli strumenti tecnici il cui utilizzo dipende dalla persona che li usa: se non è onesta, l’utilizzo può risultare distorto. Certamente il processo aiuta – tramite la discussione e il contradditorio tra le parti – a far emergere eventuali storture o elementi non corretti, ma se di base tutti lavoriamo in favore della verità, si potrebbe ottenere il massimo dalle prove che stiamo valutando. Ecco perché è così importante che ognuno abbia una propria Etica professionale, in base alla quale non si cerchi di dimostrare l’indimostrabile ma che porti ad avere una propria credibilità e autorevolezza. Ricordiamoci che anche l’assassino ha diritto alla migliore difesa, e la migliore difesa è quella che agisce correttamente e non negando l’evidenza”.
– Come si traduce questo sapere e come vengono trasferiti questi concetti nell’esperienza in INPEF e in che modo i percorsi dei Master – che Lei stessa tiene – rispondono alla necessità di preparare professionisti competenti, completi e aggiornati?
“L’INPEF ha il grandissimo vantaggio di avere tanti studenti, ma al contempo ha la responsabilità di garantire una gestione completamente trasparente: chiunque è cooptato come docente, risponde a determinati requisiti specifici, come la limpidezza e la correttezza professionale, che diventano presupposti imprescindibili. Personalmente, tutti i colleghi che ho incontrato sono professionisti ed esperti assolutamente preparati, con una competenza speciale, specifica e particolare nel proprio settore di riferimento e soprattutto corretta da un punto di vista deontologico. Quello che insegniamo ai discenti – futuri professionisti che dovranno essere all’altezza dei compiti particolarmente delicati e complessi con cui si misureranno – è proprio la correttezza dei dati da trasmettere poi all’Autorità giudiziaria. Ecco perché Etica e Deontologia diventano il punto centrale da cui partire e da cui non si può prescindere”.
Tratto da
Cronaca Sociale, Rivista Culturale sui Diritti Umani e le Riforme Sociali